Oggi sarà davvero una giornata faticosa?
Accorgersi che un pensiero torna e ritorna, diventa parola, controlla i comportamenti rendendoli reattivi è come svegliarsi al mattino grazie alla luce che filtra dalla finestra.
Sei del mattino. Alzarmi senza sveglia catturata dal pensiero “Sarà una giornata faticosa” e sentirne già dai primi passi il peso sulle spalle.
Pensieri come copioni che si ripetono e che si manifestano con parole e comportamenti che viaggiano su solchi di abitudini ben consolidate e spesso poco efficaci. Pensieri che portano fatica, che ci fanno agire condizionati dalla fatica, considerando tutto estremamente faticoso senza possibilità di alternative.
Sentirmi dire alla gatta durante la pettinata mattutina “Sai micia, oggi sarà una giornata devastante” ha fatto scattare qualcosa, mi ha dato una piccola scossa. Se non l’avessi intercettato di lì a poco si sarebbe potuto trasformare in lamento (“No, non ce la farò mai ad affrontare questa giornata…!), aprire le porte all’ansia e chiudere il cuore alla relazione con l’altro e all’apprezzamento di quanto di buono potrebbe capitare nella giornata.
Riuscire a portare consapevolezza ad un pensiero rimuginante, vedendolo come campanello di allarme, è un passo importantissimo per risvegliarsi dalla nebbia e uscire dal pilota automatico, per sperimentare nuove narrazioni, pensieri più costruttivi che possano guidare prima di tutto il rapporto con se stessi in modo più aperto e ricettivo.
Un respiro
Chiara
Non mi chiudo in casa, entro nel nido
Facciamo un gioco: abbiamo a disposizione due gesti e due frasi.
I due gesti:
– in piedi, saltare di gioia slanciando le braccia verso l’alto
– seduti su una sedia accasciare il busto sulle gambe e abbandonare le braccia penzoloni.
Le due frasi:
– mi sento veramente giù, distrutto, non ce la faccio più!
– scoppio di gioia, sono felicissimo!
Scommetto che raramente abbiate sprizzato di gioia accasciandovi a corpo morto su una sedia, o provato quella tristezza grande come un oceano saltando a mezzo metro d’altezza con le braccia in alto.
Già, perché il nostro corpo ci dà delle sensazioni che unite ai nostri pensieri suscitano le emozioni che viviamo.
Dunque è come un sistema legato a doppio filo: quello che fa il mio corpo parla alla mia mente, ai miei pensieri e viceversa: le mie parole e i toni influenzano il modo in cui mi sento. È un po’ come se tutto fosse un enorme gioco di specchi.
In questi giorni è così frequente sentir dire: “adesso ci dobbiamo chiudere in casa”.
Chiudersi in casa suona come fossero arresti domiciliari, come finire in carcere. Viene in mente un punto morto, un vicolo senza uscita che finisce con un muro di cinta. Non ci si segrega in casa però proprio come una vita non finisce in prigione.
Proviamo a immaginare se ci può essere una sintonia diversa da quella del chiudersi.
A me piace la parola entrare. Ecco, entrare in casa già ha una valenza diversa: quando entro in un luogo ho voglia di guardarmi intorno, di esplorare. E poi quella casa che è per noi un nido, un posto sicuro dando a ognuno di noi la possibilità di stare accoccolati. Può non essere quindi un isolarsi ma un prendersi cura di sé, per portare lo sguardo verso di sé.
In teoria potremmo farlo sempre ma abbiamo ora anche l’aiuto del fattore tempo. No, lui non rallenta, siamo noi che abbiamo meno cose da fare e crediamo di avere più tempo a disposizione.
Ecco un’altra esperienza interessante potrebbe essere quella di stare con quello che c’è senza cercare a tutti i costi 1000 cose da fare.
Possiamo provare a fare più lentamente quelle normali che svolgiamo ogni giorno, solo osservandole meglio. Sentiamo di più le sensazioni del corpo e soprattutto il nostro respiro!
Che si tratti di cucinare, parlare con qualcuno oppure stare ancora un po’ nel letto alla mattina.
Ecco, vi propongo questo, se vi va: quando vi svegliate domattina, state ancora un po’ nel letto, non per pigrizia, ma per ascoltarvi qualche istante.
Stiamo 5 o 10 minuti in più nel letto. Com’è il nostro risveglio? Se volessi scegliere una parola per dire come mi sento, quale sceglierei? Rilassamento? Ansia? Quale?…e poi, poggiando le mani sulla pancia, stiamo lì per qualche respiro, sentiamo le nostre mani che si alzano e si abbassano, avvertiamo il ritmo presente, lento e morbido del respiro, che dentro di noi fa l’effetto di una carezza dolce, gentile.
Non c’è niente da fare, niente da capire, c’è solo da godercelo: è uno stare con noi che scopriamo tanto di più quanto più dentro di noi abbiamo voglia di entrare, proprio come nella nostra casa che, in questi giorni, ce ne dà la possibilità.
Maria Vaghi, mindfulness counselor Dharma oriented, conduce percorsi di consapevolezza sia di gruppo che individuali con persone detenute, formatore e facilitatore di consapevolezza in ambito ospedaliero, con aziende e privati.
info@mariavaghi.com
Perchè ho inziato a praticare mindfulness?
La prima spinta è stata una sensazione alla quale ho deciso di dare seguito, sensazione alimentata da malessere e difficoltà, dall’ eccessivo soffocamento rispetto ai reali impegni e dalla fatica nel mantenere le relazioni più importanti dentro binari di comprensione e gentilezza. La riflessione sul perché e per come è arrivata dopo, così come la scelta di far diventare la meditazione di consapevolezza una prassi della mia giornata.
La curiosità e quella strana sensazione mi hanno spinto a sperimentare e sentire nel corpo, nel cuore e nella mente cosa significa essere più consapevoli grazie alla meditazione.
Ma cosa è successo?
Ho scoperto prima di tutto cosa succede nella mia mente, spazio in cui ripetutamente e molto spesso in modo invadente, passano pensieri, immagini, ricordi, programmi. E’ normale, siamo fatti così, ma ero davvero stanca di lasciarmi travolgere da tutti questi pensieri senza avere la libertà di distanziarmi da essi.
E invece, piano piano, con piccole meditazioni e con la voglia (che ora so che più che una semplice voglia è un’intenzione che germoglia) di liberarmi dal sequestro dei miei stessi pensieri ho scoperto la bellezza di avere la mente più calma, più lucida e soprattutto più spaziosa. E nella mente più spaziosa possono crescere attitudini che magari prima stavano un po’ strette, come la comprensione, la gentilezza, la pazienza e l’essenzialità del momento presente.
E cosa ho fatto?
Scelta la strada, ho iniziato a scoprire cosa significasse davvero e, come spesso succede quando hai un’idea precisa, le cose arrivano, incontri le persone giuste e ti dirigi là dove è meglio andare. La scoperta della Mindfulness è arrivata attraverso dei corsi, delle letture oltre alla pratica, magari non costante e quotidiana, ma sempre ravvivata dall’intenzione e alimentata dai miei piccoli progressi. Dallo stare meglio con e nella mia testa, dal ricordarmi di respirare e quanto bene questo mi faccia e dalla maggior apertura e flessibilità verso la vita e quello che può offrire.
Le parole però in questo campo hanno valore limitato perché, come insegna anche il pragmatismo buddhista, pratica e allenamento sono i preziosi alleati per percorrere la strada della consapevolezza. Questo non significa necessariamente ritirarsi in un convento per meditare o organizzarsi sedute casalinghe di ore con tanto di cuscini materassi, candele o altro per creare l’atmosfera.
Vi dirò quale è la mia esperienza
La consapevolezza si può coltivare anche per 5 o 10 minuti sulla sedia della cucina o sul divano di casa o mentre camminiamo per andare a recuperare l’auto parcheggiata. Ancora meglio, sviluppando un atteggiamento meditativo quotidiano ovvero rimanendo presenti a se stessi in ogni momento della giornata.
Un respiro
Chiara
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